Ode a un usignolo

L'illustrazione del pittore inglese William James Neatby de l'Ode a un usignolo (1899)

«L'usignolo, in tutte le lingue del mondo, gode di nomi melodiosi (nightingale, nachtigall, ruiseñor), come se gli uomini istintivamente avessero voluto che questi non demeritassero del canto che li meravigliò. A tal punto lo hanno esaltato i poeti, che ora è un poco irreale; meno affine alla calandra che all'angelo. Dagli enigmi sassoni del Libro di Exeter ("io, antico cantore della sera, reco ai nobili gioia nelle ville") alla tragica Atalanta di Swinbourne, l'infinito usignolo ha cantato nella letteratura inglese; Chaucer e Shakespeare lo esaltano, e così Milton e Matthew Arnold, ma a John Keats uniamo fatalmente la sua immagine, come a Blake quella della tigre.»

Ode a un usignolo (Ode to a Nightingale) è un componimento lirico del poeta inglese John Keats scritta nel maggio del 1819. Essa fu redatta probabilmente o nel giardino di un popolare locale londinese o, stando alle parole dell'amico Charles Armitage Brown, sotto un albero di prugne nello stesso giardino di casa di Keats, situata nel quartiere di Hampstead.

Secondo Brown, un usignolo avrebbe costruito il suo nido vicino all'abitazione del poeta nella primavera del 1818. Ispirato dal suo canto, Keats compose la poesia in un giorno. Presto divenne parte della raccolta delle odi pubblicate nel 1819 (assieme a Ode su un'urna greca, Ode sulla Melanconia, Ode sull'indolenza e Ode a Psiche) e venne pubblicata il luglio successivo.

L'ode è una poesia che riflette la soggettività del poeta nella misura in cui descrive l'esperienza keatsiana dello stato della "negative capability". La lirica si discosta dai toni più giovanili della poetica di Keats esplorando il tema della trascendenza, del divenire e dell'eternità dell'arte.

All'usignolo descritto viene affidato l'epiteto di "immortale" ma, nonostante ciò, Keats non allude all'eternità del singolo uccello quanto piuttosto alla sua capacità di vivere, attraverso la medesima melodia, in maniera imperitura nella specie.

Nel saggio breve di Jorge Luis Borges L'usignolo di Keats, contenuto nella raccolta Altre inquisizioni, si legge:

«Keats, che, senza troppa imprecisione, poté scrivere: "Non so niente, non ho letto niente", indovinò attraverso le pagine di un dizionario scolastico lo spirito greco; sottilissima prova di quell'indovinare o ricreare è l'aver intuito nell'oscuro usignolo di una notte l'usignolo platonico. Keats, forse incapace di definire la parola "archetipo", precedette di un quarto di secolo una tesi di Schopenhauer.»

La tesi di Schopenhauer, alla quale si riferisce lo scrittore argentino, è la seguente:

«L'Ode a un usignolo è del 1819; nel 1844 apparve il secondo volume de "Il mondo come volontà e rappresentazione". Nel capitolo 41 si legge: "Chiediamoci con sincerità se la rondine di quest'estate è un'altra da quella dell'estate passata e se realmente tra le due il miracolo di trarre qualcosa dal nulla si è verificato milioni di volte per essere smentito dall'annientamento assoluto. Chi mi oda affermare che il gatto che sta giocando lì è lo stesso che saltava e scherzava in quel luogo trecento anni fa, penserà di me quel che vorrà, ma pazzia più strana è l'immaginare che fondamentalmente sia un altro". Cioè, l'individuo è in qualche modo la specie, e l'usignolo di Keats è anche l'usignolo di Ruth.»

L'ode termina con il ritorno, da parte del poeta, da quello stadio prettamente romantico che trasforma la vita in un sogno solipsistico all'interno del quale realtà e finzione appaiono fusi. "Come una campana risuona questa parola / Che mi riporta alla mia solitudine" (vv. 71-72)[1]. Gli ultimi due versi lasciano presagire al lettore che l'intera ode sia, in realtà, frutto di un sogno ad occhi aperti: "Was it a vision, or a waking dream? / Fled is that music:- Do I wake or sleep?"

  1. ^ John Keats, Poesie, traduzione di Silvano Sabbadini, Milano, Mondadori, 1986.

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